“La torre rossa” è un quadro ad olio di 75 x 101 dipinto da Giorgio De Chirico nel 1913, si trova esposto a Venezia, The Peggy Guggenheim Foundation.
Dipinto prima della fondazione (vedi sotto) del movimento della metafisica, si tratta del primo quadro venduto da De Chirico dopo l’esposizione parigina al Salon d’Automne del 1913. Come ricordava lo stesso artista “il quadro venduto raffigurava una piazza con dei portici ai lati. In fondo, dietro un muro appariva un monumento equestre simile a quei monumenti dedicati ai militari ed eroi del Risorgimento, che si vedono in tante città italiane e specialmente a Torino”. L’allusione infatti al monumento a Carlo Alberto è presente anche in altri quadri di De Chirico, senza che però vi sia un determinato richiamo storico.
In realtà, questo è il periodo in cui egli è preso dalla rielaborazione delle forti impressioni visive di un breve soggiorno torinese, durante il quale, sotto la suggestione di Nietzsche (che in quella città ebbe un collasso psicotico), ha visto la città con gli occhi del filosofo.
Dirà poi : “E’ stata Torino ad ispirarmi la serie di quadri che ho dipinto dal 1912 al 1915. Confesso, in verità, che devo molto anche a Federico Nietzsche, di cui ero allora un appassionato lettore. Il suo Ecce Homo, scritto a Torino prima di precipitare nella follia, mi ha aiutato molto a capire la bellezza così particolare di questa città.”
Il dipinto intitolato “La torre rossa” fa parte di questa serie di opere enigmatiche che De Chirico dipinse prima della costituzione della Metafisica, a Ferrara nel 1917. L’ambientazione è il loro leit-motiv esteriore: è Torino, nella visione dell’artista, “la città quadrata dei re vittoriosi, delle grandi torri e delle piazze soleggiate”, piazze tipicamente italiane, circondate o introdotte da portici o facciata classiche, ma che si trasformano in scenari vuoti e sinistramente silenziosi che sembrano fatti apposta per la rappresentazione di drammi invisibili.
Ed in effetti, per gli spettatori di quegli anni (come per noi, ma a causa del nostro sapere cosa sarebbe accaduto da lì a poco) simili scenari deserti, percepiti come progetti scenografici, si presentavano come la promessa di un’azione drammatica.
Qualche anno più tardi, parlando del “fine della pittura del futuro”, De Chirico si sarebbe opposto a questa percezione esclusivamente scenografica dei suoi quadri, indicando per essi altri obiettivi: “Sopprimere completamente l’uomo come punto di riferimento, come mezzo per esprimere un simbolo, una sensazione, un pensiero: liberarsi […] dall’antropocentrismo. Vedere tutto, anche l’uomo, in quanto cosa. Questo è il metodo nietzschiano.” Infatti, con l’ausilio del radicalismo di Nietzsche, De Chirico intendeva affrancarsi dai cliché della tradizione umanistica, per ravvivarne ancora una volta lo spirito più autentico, che coincideva, come per il suo filosofo preferito, con “la redenzione di tutto il passato” dalla propria ingombrante storia e la restituzione alle cose del loro valore di rivelazione dell’enigma della vita.
Le Piazze d’Italia sono in ciclo d’immagini fantastiche, con colori caldi ma fermi e privi di
vibrazioni atmosferiche, luce bassa , ombre lunghe e definite nettamente, la prospettiva accentuata del sogno, dello straniemento da luoghi, piazze e architetture d’un 400 che prefigura già il razionalismo. Il culmine del ciclo è naturalmente (soprattutto per un ferrarese) il capolavoro manifesto della Metafisica ovvero “Le muse inquietanti”. La città è deserta, le ciminiere non fumano (come in un film tipo “Io sono leggenda”, o “28 giorni dopo”, tutto è statico e sospeso, in questo luogo solo non possono abitare gli uomini, ma solo manichini, che non hanno l’essenza dell’uomo ma solo l’aspetto di statue classiche. Per questo le muse sono inquietanti: perché sono inserite in un contesto urbano tanto posteriore: sullo sfondo il castello estense ci richiama al grande passato della città, mentre le ciminiere (azzardo un’idea non è una fabbrica, secondo me, ma un impianto idrovoro) al suo presente.
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“La torre rossa” è un quadro ad olio di 75 x 101 dipinto da Giorgio De Chirico nel 1913, si trova esposto a Venezia, The Peggy Guggenheim Foundation.
Dipinto prima della fondazione (vedi sotto) del movimento della metafisica, si tratta del primo quadro venduto da De Chirico dopo l’esposizione parigina al Salon d’Automne del 1913. Come ricordava lo stesso artista “il quadro venduto raffigurava una piazza con dei portici ai lati. In fondo, dietro un muro appariva un monumento equestre simile a quei monumenti dedicati ai militari ed eroi del Risorgimento, che si vedono in tante città italiane e specialmente a Torino”. L’allusione infatti al monumento a Carlo Alberto è presente anche in altri quadri di De Chirico, senza che però vi sia un determinato richiamo storico.
In realtà, questo è il periodo in cui egli è preso dalla rielaborazione delle forti impressioni visive di un breve soggiorno torinese, durante il quale, sotto la suggestione di Nietzsche (che in quella città ebbe un collasso psicotico), ha visto la città con gli occhi del filosofo.
Dirà poi : “E’ stata Torino ad ispirarmi la serie di quadri che ho dipinto dal 1912 al 1915. Confesso, in verità, che devo molto anche a Federico Nietzsche, di cui ero allora un appassionato lettore. Il suo Ecce Homo, scritto a Torino prima di precipitare nella follia, mi ha aiutato molto a capire la bellezza così particolare di questa città.”
Il dipinto intitolato “La torre rossa” fa parte di questa serie di opere enigmatiche che De Chirico dipinse prima della costituzione della Metafisica, a Ferrara nel 1917. L’ambientazione è il loro leit-motiv esteriore: è Torino, nella visione dell’artista, “la città quadrata dei re vittoriosi, delle grandi torri e delle piazze soleggiate”, piazze tipicamente italiane, circondate o introdotte da portici o facciata classiche, ma che si trasformano in scenari vuoti e sinistramente silenziosi che sembrano fatti apposta per la rappresentazione di drammi invisibili.
Ed in effetti, per gli spettatori di quegli anni (come per noi, ma a causa del nostro sapere cosa sarebbe accaduto da lì a poco) simili scenari deserti, percepiti come progetti scenografici, si presentavano come la promessa di un’azione drammatica.
Qualche anno più tardi, parlando del “fine della pittura del futuro”, De Chirico si sarebbe opposto a questa percezione esclusivamente scenografica dei suoi quadri, indicando per essi altri obiettivi: “Sopprimere completamente l’uomo come punto di riferimento, come mezzo per esprimere un simbolo, una sensazione, un pensiero: liberarsi […] dall’antropocentrismo. Vedere tutto, anche l’uomo, in quanto cosa. Questo è il metodo nietzschiano.” Infatti, con l’ausilio del radicalismo di Nietzsche, De Chirico intendeva affrancarsi dai cliché della tradizione umanistica, per ravvivarne ancora una volta lo spirito più autentico, che coincideva, come per il suo filosofo preferito, con “la redenzione di tutto il passato” dalla propria ingombrante storia e la restituzione alle cose del loro valore di rivelazione dell’enigma della vita.
Le Piazze d’Italia sono in ciclo d’immagini fantastiche, con colori caldi ma fermi e privi di
vibrazioni atmosferiche, luce bassa , ombre lunghe e definite nettamente, la prospettiva accentuata del sogno, dello straniemento da luoghi, piazze e architetture d’un 400 che prefigura già il razionalismo. Il culmine del ciclo è naturalmente (soprattutto per un ferrarese) il capolavoro manifesto della Metafisica ovvero “Le muse inquietanti”. La città è deserta, le ciminiere non fumano (come in un film tipo “Io sono leggenda”, o “28 giorni dopo”, tutto è statico e sospeso, in questo luogo solo non possono abitare gli uomini, ma solo manichini, che non hanno l’essenza dell’uomo ma solo l’aspetto di statue classiche. Per questo le muse sono inquietanti: perché sono inserite in un contesto urbano tanto posteriore: sullo sfondo il castello estense ci richiama al grande passato della città, mentre le ciminiere (azzardo un’idea non è una fabbrica, secondo me, ma un impianto idrovoro) al suo presente.
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