La giara è una novella di Luigi Pirandello, composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
La storia rappresentata ripercorre con umorismo molti dei temi cari allo scrittore agrigentino, tra cui la molteplicità dei punti di vista, l'ambiente siciliano e i conflitti interpersonali. Si tratta di caratteristiche che ritroviamo nella rielaborazione in dialetto agrigentino operata da Pirandello nell'ottobre del 1916 per un breve adattamento teatrale in un atto unico che venne rappresentato per la prima volta in Roma al Teatro Nazionale il 9 luglio del 1917 dalla Compagnia di Angelo Musco. Il pezzo ritornò sul palcoscenico a Roma in lingua italiana alcuni anni dopo (il 30 marzo del 1925, con una versione scritta presumibilmente nello stesso anno).
TRAMA:
Don Lolò Zirafa, il protagonista della vicenda, è ricco e taccagno. Vede dappertutto nemici che vogliono depredarlo della sua roba, ed essendo di carattere litigioso, non perde occasione di citare in giudizio i suoi presunti avversari spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza al suo consulente legale, che non vede l'ora di toglierselo di torno.
Dopo l'acquisto di una nuova enorme giara per conservare l'olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose, il grosso recipiente viene ritrovato perfettamente spaccato in due, fatto che fa montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata da Zi' Dima, un artigiano del posto che si vanta di avere inventato un mastice miracoloso ma Zirafa non si fida e insiste affinché Zi' Dima renda più sicura la saldatura usando anche dei punti di fil di ferro. Ciò colpisce profondamente l'artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro.
Costretto ad obbedire al padrone, in preda all'ira, Zi' Dima, messosi all'interno della giara per eseguire più comodamente la riparazione, si distrae dimenticando che la giara ha un collo molto stretto così che, terminata la riparazione, resterà bloccato all'interno.
Ne nasce subito un contrasto tra Zi' Dima che vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione e Zirafa che si dichiara disposto a pagarlo ma che nello stesso tempo vuole essere risarcito dato che per liberarlo bisognerà rompere la giara.
Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso di giustizia ma per non stare in torto di fronte alla legge. Ma Zi' Dima non cede e, ricevuto il suo compenso, si rifiuta di dare qualsiasi risarcimento.
Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si rivolge per l'ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi' Dima, altrimenti correrà il rischio di essere accusato di sequestro di persona.
Il parere non riceve affatto l'approvazione di Don Lolò Zirafa, che ritiene responsabile Zi' Dima del fatto di essersi balordamente imprigionato nella giara che, una volta rotta, non potrà più essere riparata.
Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva preteso: se si fosse fidato del suo mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova.
Comunque, piuttosto che pagare, preferisce restare dentro la giara dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha offerto vino e cibarie.
In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare un poderoso calcio alla giara che si romperà definitivamente e Zi' Dima, così involontariamente liberato, avrà partita vinta.
La giara è una novella di Luigi Pirandello, composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
Don Lolò Zirafa, il protagonista della vicenda, è ricco e taccagno. Vede dappertutto nemici che vogliono depredarlo della sua roba, ed essendo di carattere litigioso, non perde occasione di citare in giudizio i suoi presunti avversari spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza al suo consulente legale, che non vede l'ora di toglierselo di torno.
Dopo l'acquisto di una nuova enorme giara per conservare l'olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose, il grosso recipiente viene ritrovato perfettamente spaccato in due, fatto che fa montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata da Zi' Dima, un artigiano del posto che si vanta di avere inventato un mastice miracoloso ma Zirafa non si fida e insiste affinché Zi' Dima renda più sicura la saldatura usando anche dei punti di fil di ferro. Ciò colpisce profondamente l'artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro.
Costretto ad obbedire al padrone, in preda all'ira, Zi' Dima, messosi all'interno della giara per eseguire più comodamente la riparazione, si distrae dimenticando che la giara ha un collo molto stretto così che, terminata la riparazione, resterà bloccato all'interno.
Ne nasce subito un contrasto tra Zi' Dima che vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione e Zirafa che si dichiara disposto a pagarlo ma che nello stesso tempo vuole essere risarcito dato che per liberarlo bisognerà rompere la giara.
Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso di giustizia ma per non stare in torto di fronte alla legge. Ma Zi' Dima non cede e, ricevuto il suo compenso, si rifiuta di dare qualsiasi risarcimento.
Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si rivolge per l'ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi' Dima, altrimenti correrà il rischio di essere accusato di sequestro di persona.
Il parere non riceve affatto l'approvazione di Don Lolò Zirafa, che ritiene responsabile Zi' Dima del fatto di essersi balordamente imprigionato nella giara che, una volta rotta, non potrà più essere riparata.
Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva preteso: se si fosse fidato del suo mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova.
Comunque, piuttosto che pagare, preferisce restare dentro la giara dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha offerto vino e cibarie.
In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare un poderoso calcio alla giara che si romperà definitivamente e Zi' Dima, così involontariamente liberato, avrà partita vinta.
Per quanto coccolone e adorabile sia, il vostro cucciolo non nasce già beneducato. Certo, il suo allevatore potrebbe avergli già insegnato le basi riguardo alla gestione dei suoi "bisognini", ma farlo diventare un cane che si comporta bene in tutto e per tutto sta interamente a voi.
Essere sovrappeso o sottopeso può significativamente ridurre le probabilità di rimanere incinta. Perciò, se stai cercando di avere un bambino, dovresti sforzarti di raggiungere il tuo peso forma. se cerchi un sistema che ti possa aiutare a rimanere incinta
NON SCEGLIERLA COME MIGLIOR RISPOSTA è stata postata da "Angel" un anno fa..
la riporto così com'é
Don Lollò, un ricco proprietario, un giorno ordina una giara enorme che viene messa al centro del paese. Tutti ammirano la giara di Don Lollò, e la sua maestosità.
Una notte però la giara senza motivo si crepa. Il giorno successivo Don Lollò è preoccupatissimo per la sua giara e fa chiamare quindi Zì Dima, un esperto conciabrocche, che ha un misterioso mastice capace di incollare saldamente qualunque cosa.
Don Lollò prega Zì Dima di lavorare al meglio sulla sua giara, e quindi Zì Dima entra nella giara ed inizia la sua opera di incollaggio della giara.
Dopo molte ore di lavoro, completato il titto però non riesce più ad uscire dalla giara. Riesce ad uscire solo con la testa, e la sua gobba non fa che rendere impossibile l'intervento di tutti coloro che cercano di aiutare Zì Dima ad uscire.
-la giara
Piena anche per gli olivi quell'annata. Piante massaje, cariche l'anno avanti, avevano raffermato tutte, a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire.
Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l'olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d'uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa.
Neanche a dirlo, aveva litigato anche col fornaciajo di là per questa giara. E con chi non l'attaccava Don Lollò Zirafa? Per ogni nonnulla, anche per una pietruzza caduta dal murello di cinta, anche per una festuca di paglia, gridava che gli sellassero la mula per correre in città a fare gli atti. Così, a furia di carta bollata e d'onorarii agli avvocati, citando questo, citando quello e pagando sempre le spese per tutti, s'era mezzo rovinato.
Dicevano che il suo consulente legale, stanco di vederselo comparire davanti due o tre volte la settimana, per levarselo di torno, gli aveva regalato un libricino come quelli da messa: il codice, perché ci si scapasse a cercare da sé il fondamento giuridico alle liti che voleva intentare.
Prima, tutti coloro con cui aveva da dire, per prenderlo in giro gli gridavano: - Sellate la mula! - Ora, invece: - Consultate il calepino! -
E Don Lollò rispondeva:
- Sicuro, e vi fulmino tutti, figli d'un cane!
Quella bella giara nuova, pagata quattr'onze ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle in cantina, fu allogata provvisoriamente nel palmento. Una giara così non s'era mai veduta. Allogata in quell'antro intanfato di mosto e di quell'odore acre e crudo che cova nei luoghi senz'aria e senza luce, faceva pena.
Da due giorni era cominciata l'abbacchiatura delle olive, e Don Lollò era su tutte le furie perché, tra gli abbacchiatori e i mulattieri venuti con le mule cariche di concime da depositare a mucchi su la costa per la favata della nuova stagione, non sapeva più come spartirsi, a chi badar prima. E bestemmiava come un turco e minacciava di fulminare questi e quelli, se un'oliva, che fosse un'oliva, gli fosse mancata, quasi le avesse prima contate tutte a una a una sugli alberi; o se non fosse ogni mucchio di concime della stessa misura degli altri. Col cappellaccio bianco, in maniche di camicia, spettorato, affocato in volto e tutto sgocciolante di sudore, correva di qua e di là, girando gli occhi lupigni e stropicciandosi con rabbia le guance rase, su cui la barba prepotente rispuntava quasi sotto la raschiatura del rasojo.
Ora, alla fine della terza giornata, tre dei contadini che avevano abbacchiato, entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne, restarono alla vista della bella giara nuova, spaccata in due, come se qualcuno, con un taglio netto, prendendo tutta l'ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo davanti.
- Guardate! guardate!
- Chi sarà stato?
- Oh, mamma mia! E chi lo sente ora Don Lollò? La giara nuova, peccato!
Il primo, più spaurito di tutti, propose di raccostar subito la porta e andare via zitti zitti, lasciando fuori, appoggiate al muro, le scale e le canne.
Ma il secondo:
- Siete pazzi? Con don Lollò? Sarebbe capace di credere che gliel'abbiamo rotta noi. Fermi qua tutti!
Uscì davanti al palmento e, facendosi portavoce delle mani, chiamò:
- Don Lollò! Ah, Don Lollòoo!
Eccolo là sotto la costa con gli scaricatori del concime: gesticolava al solito furiosamente, dandosi di tratto in tratto con ambo le mani una rincalcata al cappellaccio bianco. Arrivava talvolta, a forza di quelle rincalcate, a non poterselo più strappare dalla nuca e dalla fronte. Già nel cielo si spegnevano gli ultimi fuochi del crepuscolo, e tra la pace che scendeva su la campagna con le ombre della sera e la dolce frescura, avventavano i gesti di quell'uomo sempre infuriato.
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La giara è una novella di Luigi Pirandello, composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
La storia rappresentata ripercorre con umorismo molti dei temi cari allo scrittore agrigentino, tra cui la molteplicità dei punti di vista, l'ambiente siciliano e i conflitti interpersonali. Si tratta di caratteristiche che ritroviamo nella rielaborazione in dialetto agrigentino operata da Pirandello nell'ottobre del 1916 per un breve adattamento teatrale in un atto unico che venne rappresentato per la prima volta in Roma al Teatro Nazionale il 9 luglio del 1917 dalla Compagnia di Angelo Musco. Il pezzo ritornò sul palcoscenico a Roma in lingua italiana alcuni anni dopo (il 30 marzo del 1925, con una versione scritta presumibilmente nello stesso anno).
TRAMA:
Don Lolò Zirafa, il protagonista della vicenda, è ricco e taccagno. Vede dappertutto nemici che vogliono depredarlo della sua roba, ed essendo di carattere litigioso, non perde occasione di citare in giudizio i suoi presunti avversari spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza al suo consulente legale, che non vede l'ora di toglierselo di torno.
Dopo l'acquisto di una nuova enorme giara per conservare l'olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose, il grosso recipiente viene ritrovato perfettamente spaccato in due, fatto che fa montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata da Zi' Dima, un artigiano del posto che si vanta di avere inventato un mastice miracoloso ma Zirafa non si fida e insiste affinché Zi' Dima renda più sicura la saldatura usando anche dei punti di fil di ferro. Ciò colpisce profondamente l'artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro.
Costretto ad obbedire al padrone, in preda all'ira, Zi' Dima, messosi all'interno della giara per eseguire più comodamente la riparazione, si distrae dimenticando che la giara ha un collo molto stretto così che, terminata la riparazione, resterà bloccato all'interno.
Ne nasce subito un contrasto tra Zi' Dima che vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione e Zirafa che si dichiara disposto a pagarlo ma che nello stesso tempo vuole essere risarcito dato che per liberarlo bisognerà rompere la giara.
Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso di giustizia ma per non stare in torto di fronte alla legge. Ma Zi' Dima non cede e, ricevuto il suo compenso, si rifiuta di dare qualsiasi risarcimento.
Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si rivolge per l'ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi' Dima, altrimenti correrà il rischio di essere accusato di sequestro di persona.
Il parere non riceve affatto l'approvazione di Don Lolò Zirafa, che ritiene responsabile Zi' Dima del fatto di essersi balordamente imprigionato nella giara che, una volta rotta, non potrà più essere riparata.
Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva preteso: se si fosse fidato del suo mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova.
Comunque, piuttosto che pagare, preferisce restare dentro la giara dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha offerto vino e cibarie.
In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare un poderoso calcio alla giara che si romperà definitivamente e Zi' Dima, così involontariamente liberato, avrà partita vinta.
spero di esserti stata d'aiuto! ciao ciao
La giara è una novella di Luigi Pirandello, composta nel 1906 e pubblicata nella raccolta Novelle per un anno nel 1917.
Don Lolò Zirafa, il protagonista della vicenda, è ricco e taccagno. Vede dappertutto nemici che vogliono depredarlo della sua roba, ed essendo di carattere litigioso, non perde occasione di citare in giudizio i suoi presunti avversari spendendo una fortuna in liti e facendo spesso perdere la pazienza al suo consulente legale, che non vede l'ora di toglierselo di torno.
Dopo l'acquisto di una nuova enorme giara per conservare l'olio della nuova raccolta, accade un fatto strano: per ragioni misteriose, il grosso recipiente viene ritrovato perfettamente spaccato in due, fatto che fa montare Zirafa su tutte le furie.
La giara potrà essere riparata da Zi' Dima, un artigiano del posto che si vanta di avere inventato un mastice miracoloso ma Zirafa non si fida e insiste affinché Zi' Dima renda più sicura la saldatura usando anche dei punti di fil di ferro. Ciò colpisce profondamente l'artigiano nel suo orgoglio: convinto che i suoi meriti siano sottovalutati, egli è infatti sicuro che il suo prodigioso mastice sia più che sufficiente a fare un buon lavoro.
Costretto ad obbedire al padrone, in preda all'ira, Zi' Dima, messosi all'interno della giara per eseguire più comodamente la riparazione, si distrae dimenticando che la giara ha un collo molto stretto così che, terminata la riparazione, resterà bloccato all'interno.
Ne nasce subito un contrasto tra Zi' Dima che vuole in ogni caso essere pagato per la perfetta riparazione e Zirafa che si dichiara disposto a pagarlo ma che nello stesso tempo vuole essere risarcito dato che per liberarlo bisognerà rompere la giara.
Don Lolò infatti decide di pagare il conciabrocche per il suo lavoro, non per senso di giustizia ma per non stare in torto di fronte alla legge. Ma Zi' Dima non cede e, ricevuto il suo compenso, si rifiuta di dare qualsiasi risarcimento.
Non sapendo come risolvere la situazione, don Lolò si rivolge per l'ennesima volta al suo avvocato che gli consiglia di liberare Zi' Dima, altrimenti correrà il rischio di essere accusato di sequestro di persona.
Il parere non riceve affatto l'approvazione di Don Lolò Zirafa, che ritiene responsabile Zi' Dima del fatto di essersi balordamente imprigionato nella giara che, una volta rotta, non potrà più essere riparata.
Il cocciuto conciabrocche, a sua volta, si rifiuta di risarcirlo affermando di essere entrato nella giara proprio per mettere i punti che don Lolò aveva preteso: se si fosse fidato del suo mastice miracoloso, ora avrebbe la sua giara come nuova.
Comunque, piuttosto che pagare, preferisce restare dentro la giara dove dice di trovarsi benissimo; e lì infatti passerà tranquillamente e allegramente la notte, fra canti e balli dei contadini ai quali, servendosi proprio del denaro ricevuto da Don Lolò, ha offerto vino e cibarie.
In preda alla rabbia, per il danno e la beffa, Don Lolò Zirafa finisce per tirare un poderoso calcio alla giara che si romperà definitivamente e Zi' Dima, così involontariamente liberato, avrà partita vinta.
Mi hanno consigliato un programma molto efficace per addestrare con successo il proprio cane http://corsoaddestramentocani.latis.info/?wWo1
Per quanto coccolone e adorabile sia, il vostro cucciolo non nasce già beneducato. Certo, il suo allevatore potrebbe avergli già insegnato le basi riguardo alla gestione dei suoi "bisognini", ma farlo diventare un cane che si comporta bene in tutto e per tutto sta interamente a voi.
Se cerchi un sistema che ti possa aiutare a rimanere incinta ti suggerisco questo http://gravidanzamiracolosa.netint.info/?vP2r
Essere sovrappeso o sottopeso può significativamente ridurre le probabilità di rimanere incinta. Perciò, se stai cercando di avere un bambino, dovresti sforzarti di raggiungere il tuo peso forma. se cerchi un sistema che ti possa aiutare a rimanere incinta
NON SCEGLIERLA COME MIGLIOR RISPOSTA è stata postata da "Angel" un anno fa..
la riporto così com'é
Don Lollò, un ricco proprietario, un giorno ordina una giara enorme che viene messa al centro del paese. Tutti ammirano la giara di Don Lollò, e la sua maestosità.
Una notte però la giara senza motivo si crepa. Il giorno successivo Don Lollò è preoccupatissimo per la sua giara e fa chiamare quindi Zì Dima, un esperto conciabrocche, che ha un misterioso mastice capace di incollare saldamente qualunque cosa.
Don Lollò prega Zì Dima di lavorare al meglio sulla sua giara, e quindi Zì Dima entra nella giara ed inizia la sua opera di incollaggio della giara.
Dopo molte ore di lavoro, completato il titto però non riesce più ad uscire dalla giara. Riesce ad uscire solo con la testa, e la sua gobba non fa che rendere impossibile l'intervento di tutti coloro che cercano di aiutare Zì Dima ad uscire.
-la giara
Piena anche per gli olivi quell'annata. Piante massaje, cariche l'anno avanti, avevano raffermato tutte, a dispetto della nebbia che le aveva oppresse sul fiorire.
Lo Zirafa, che ne aveva un bel giro nel suo podere delle Quote a Primosole, prevedendo che le cinque giare vecchie di coccio smaltato che aveva in cantina non sarebbero bastate a contener tutto l'olio della nuova raccolta, ne aveva ordinata a tempo una sesta più capace a Santo Stefano di Camastra, dove si fabbricavano: alta a petto d'uomo, bella panciuta e maestosa, che fosse delle altre cinque la badessa.
Neanche a dirlo, aveva litigato anche col fornaciajo di là per questa giara. E con chi non l'attaccava Don Lollò Zirafa? Per ogni nonnulla, anche per una pietruzza caduta dal murello di cinta, anche per una festuca di paglia, gridava che gli sellassero la mula per correre in città a fare gli atti. Così, a furia di carta bollata e d'onorarii agli avvocati, citando questo, citando quello e pagando sempre le spese per tutti, s'era mezzo rovinato.
Dicevano che il suo consulente legale, stanco di vederselo comparire davanti due o tre volte la settimana, per levarselo di torno, gli aveva regalato un libricino come quelli da messa: il codice, perché ci si scapasse a cercare da sé il fondamento giuridico alle liti che voleva intentare.
Prima, tutti coloro con cui aveva da dire, per prenderlo in giro gli gridavano: - Sellate la mula! - Ora, invece: - Consultate il calepino! -
E Don Lollò rispondeva:
- Sicuro, e vi fulmino tutti, figli d'un cane!
Quella bella giara nuova, pagata quattr'onze ballanti e sonanti, in attesa del posto da trovarle in cantina, fu allogata provvisoriamente nel palmento. Una giara così non s'era mai veduta. Allogata in quell'antro intanfato di mosto e di quell'odore acre e crudo che cova nei luoghi senz'aria e senza luce, faceva pena.
Da due giorni era cominciata l'abbacchiatura delle olive, e Don Lollò era su tutte le furie perché, tra gli abbacchiatori e i mulattieri venuti con le mule cariche di concime da depositare a mucchi su la costa per la favata della nuova stagione, non sapeva più come spartirsi, a chi badar prima. E bestemmiava come un turco e minacciava di fulminare questi e quelli, se un'oliva, che fosse un'oliva, gli fosse mancata, quasi le avesse prima contate tutte a una a una sugli alberi; o se non fosse ogni mucchio di concime della stessa misura degli altri. Col cappellaccio bianco, in maniche di camicia, spettorato, affocato in volto e tutto sgocciolante di sudore, correva di qua e di là, girando gli occhi lupigni e stropicciandosi con rabbia le guance rase, su cui la barba prepotente rispuntava quasi sotto la raschiatura del rasojo.
Ora, alla fine della terza giornata, tre dei contadini che avevano abbacchiato, entrando nel palmento per deporvi le scale e le canne, restarono alla vista della bella giara nuova, spaccata in due, come se qualcuno, con un taglio netto, prendendo tutta l'ampiezza della pancia, ne avesse staccato tutto il lembo davanti.
- Guardate! guardate!
- Chi sarà stato?
- Oh, mamma mia! E chi lo sente ora Don Lollò? La giara nuova, peccato!
Il primo, più spaurito di tutti, propose di raccostar subito la porta e andare via zitti zitti, lasciando fuori, appoggiate al muro, le scale e le canne.
Ma il secondo:
- Siete pazzi? Con don Lollò? Sarebbe capace di credere che gliel'abbiamo rotta noi. Fermi qua tutti!
Uscì davanti al palmento e, facendosi portavoce delle mani, chiamò:
- Don Lollò! Ah, Don Lollòoo!
Eccolo là sotto la costa con gli scaricatori del concime: gesticolava al solito furiosamente, dandosi di tratto in tratto con ambo le mani una rincalcata al cappellaccio bianco. Arrivava talvolta, a forza di quelle rincalcate, a non poterselo più strappare dalla nuca e dalla fronte. Già nel cielo si spegnevano gli ultimi fuochi del crepuscolo, e tra la pace che scendeva su la campagna con le ombre della sera e la dolce frescura, avventavano i gesti di quell'uomo sempre infuriato.
- Don Lollò! Ah, Don Lollòoo!
Quando venne s
nn lo conosco......xò basta k scrivi su google il titolo seguito da trama e così lo trovi di sicuro....!!!!ciao