La vita dei servi della gleba ai tempidi Carlo Magno (quindi prima del 1000) ?
vorrei un po' di informazioni sulla vita dei servi della gleba.. tipo dove vivevano, cosa coltivavano, cosa mangiavano e le loro condizioni igieniche... ^^ grazie in anticipo :DD
I servi della gleba nascevano con la nascita dell'Enfiteusi. L'enfiteusi era un contratto basato su uno scambio di favori: i monaci davano in benestare un terreno e il ricevente, invece di pagarlo in danaro, si prestava a coltivare e curare la terra comune. Questo contratto nacque al fine di aumentare le terre coltivate e coltivabili, che altrimenti, non sarebbero state curate (gli schiavi, infatti, come i lavoratori moderni, non si curavano dei beni altrui).
Per lo più i servi della gleba mangiavano legumi e insaccati. Ovvero avevano una dieta molto moderna e sviluppata, a contrario dei nobili che si ingozzavano di carne. Mangiare troppa carne al tempo voleva dire solo una cosa: avere la gotta (una malattia derivante dall'eccessivo utilizzo della carne in cucina). Molto spesso, anzi quasi sempre, vivevano sullo stesso manso che dovevano coltivare e che era diventato di loro proprietà. Per lo più, la coltivazione (ancora gli studi sono molto dubbiosi per la penuria di materiale rinvenuto) era approssimativa e i mezzi di coltivazione erano ancora molto retrogradi. Tant'è, che non bisogna scordare il fatto che non vi era uno sfruttamento intensivo del terreno, né dei mezzi di produzione. Questo perchè non vi era ancora una concezione moderna di efficienza ed efficiacia. Per lo più si coltivavano legumi (la famosa "carne dei poveri" ricca di proteine) e grano, anche se quest'ultimo era molto soggetto a forti carestie (il grano da coltivare era molto difficile perchè richiede temperature con un range molto basso di variazione). Nelle regioni del nord Europa, si diffusero con l'arrivo dei barbari anche culture come l'orzo (indispensabile per la birra). Ma anche tutti gli altri grani (Farro, Segala, Miglio) venivano coltivati, in modo tale da avere lo stesso un pane da mangiare, anche se meno pregiato e sostanzioso.
@ GAMESTER:
non pagavano affatto un fitto per il terreno! ma erano appunto servi della gleba (schiavi della terra) perchè appunto non venivano pagati ma come "ricompensa" dovevano coltivare un terreno (visione Marxista dell'800 che voleva screditare questo sistema). Questo perchè con la caduta dell'Impero romano, il sistema monetario crollò e non vi furono più monete in circolazione. Era raro trovare monete, e così si iniziò a trovare utile il baratto o uno scambio di "regali".
La "decima" era obbligatoria se non si avevano altre terre comuni da coltivare. Ed era una piccolissima tassa (ovvero la decima parte del raccolto).
La servitù della gleba, molto diffusa del medioevo (già colonato al tempo dei Romani), era una figura giuridica che legava i contadini ad un determinato terreno (gleba, in latino, è propriamente la "zolla" di terra). I servi della gleba coltivavano i fondi che appartenevano ai proprietari terrieri, pagando un fitto. Inoltre dovevano pagare le decime (qualora il proprietario facesse parte del clero o fosse un ente ecclesiastico) ed erano obbligati a determinate prestazioni di lavoro (corvées). I servi della gleba erano tali per nascita, e non potevano (lecitamente) sottrarsi a tale condizione senza il consenso del padrone del terreno. Nel Medioevo, in occasione dei lavori per dissodare nuove terre, spesso il proprietario dava a chi si sobbarcava l'onere di trasferirsi nelle nuove aree particolari libertà (franchigie) e privilegi: da cui il nome "Villafranca" dato a tante località.
I servizi a cui i servi della gleba erano obbligati, va precisato, a differenza della schiavitù, non avevano un carattere generico, ma erano precisamente definiti. Inoltre i servi della gleba, diversamente dagli schiavi, non venivano considerati "cose" ma persone, avevano il diritto alla proprietà privata, sebbene limitata ai beni mobili, potevano sposarsi, avere figli ai quali lasciare un'eredità. Il feudatario non aveva diritto sulla vita del servo della gleba che però poteva essere venduto insieme alla terra, su cui aveva il diritto-dovere di restare. Intaccare questo principio fu una delle forme per sgretolare la servitù della gleba.[1] Perciò non poteva neanche esserne cacciato. Dai doveri rurali, in molte zone d'Europa, ci si poteva sottrarre anche col trasferimento in città: in Germania c'era il detto"Stadtluft macht frei" ("L'aria della città rende liberi").[2]
La servitù della gleba va intesa anzitutto come un obbligo reciproco. Il signore garantiva ai servi della gleba tutela giuridica e militare. Per tutela giuridica si intende che il signore doveva assicurare l'assistenza legale in caso di liti verso terzi. In cambio il servo della gleba versava al signore diversi tributi, in denaro, beni o servizi. Per esempio, nella Germania sud-occidentale, ogni anno, in segno di riconoscimento dello stato di servitù, doveva essere fornita al signore una gallina, e in caso di morte di un capofamiglia servo della gleba il miglior capo di bestiame (qualora morisse una donna, l'abito migliore). I servi della gleba erano soggetti al banno. Erano definiti bannalità: il turno di guardia, il trasporto di materiali, l'alloggiamento dei guerrieri e quello del signore, la trasmissione di messaggi.
Nel corso dei sec. XV e XVI questi obblighi vennero via via trasformati in tributi in denaro. Nell'area tedesca sud-occidentale il tasso si aggirava generalmente attorno al 1,5% del patrimonio. Ma esistevano anche zone in cui, fino agli inizi del sec. XIX, erano ammessi pagamenti in natura o in prestazioni equivalenti. I signori potevano vendere, acquistare e scambiare servi della gleba. Ciò però non significava altro che le prestazioni venivano rivolte ad un nuovo signore, perché, generalmente, il servo della gleba continuava a coltivare il vecchio fondo. Questo “cambio di proprietà” era rilevante, per il servo, solamente tramite eventuali divieti di matrimonio. Infatti il servo della gleba sottostava alla giurisdizione del proprio signore, il quale decideva anche se egli potesse contrarre matrimonio, e solo con autorizzazione da parte del signore era concesso al servo di lasciare il fondo. Chi tentava di allontanarsi veniva ricercato e riportato indietro con la forza. Solamente quando ad un servo riusciva di raggiungere il territorio di una città, e di ottenere colà un diritto di residenza poteva sottrarsi alla giurisdizione del proprietario fondiario. Da questo contesto nasce il detto “l'aria della città rende liberi”. Inversamente, un servo della gleba non poteva essere allontanato dal fondo che coltivava, nemmeno con la forza. Va però precisato che la cosiddetta "servitù della gleba" medievale, a partire dal XII è il prodotto - in Italia in forma prevalentemente contrattuale - della rinascita degli studi del diritto giustinianeo, come fin dal 1925 chiarì Marc Bloch, il quale correttamente attribuì la locuzione "servus glebae" al giurista bolognese Irnerio (fine XI-inizio XII secolo).
La figura si è sviluppata sotto Diocleziano dai contadini romani, conosciuti con il nome di coloni, o "affittuarii". Il sostantivo colonus deriva dal verbo colere (coltivare).
Diocleziano, al fine di fermare la fuga dalle campagne verso le città, con un provvedimento autoritativo aveva imposto ai coloni di trasmettere il proprio mestiere ai loro discendenti; li aveva inoltre fissati (anche per le generazioni successive) al terreno che coltivavano, al punto da essere venduti assieme ad esso (passando così al servizio del nuovo proprietario del fondo). Il proprietario del fondo aveva il diritto di reclamare i coloni al suo servizio qualora si allontanasser
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Si cibavano di quel che coltivavano: farro, miglio, avena, crusca, cipolle, rape....
Vita difficile, condizioni igieniche orrende...
I servi della gleba nascevano con la nascita dell'Enfiteusi. L'enfiteusi era un contratto basato su uno scambio di favori: i monaci davano in benestare un terreno e il ricevente, invece di pagarlo in danaro, si prestava a coltivare e curare la terra comune. Questo contratto nacque al fine di aumentare le terre coltivate e coltivabili, che altrimenti, non sarebbero state curate (gli schiavi, infatti, come i lavoratori moderni, non si curavano dei beni altrui).
Per lo più i servi della gleba mangiavano legumi e insaccati. Ovvero avevano una dieta molto moderna e sviluppata, a contrario dei nobili che si ingozzavano di carne. Mangiare troppa carne al tempo voleva dire solo una cosa: avere la gotta (una malattia derivante dall'eccessivo utilizzo della carne in cucina). Molto spesso, anzi quasi sempre, vivevano sullo stesso manso che dovevano coltivare e che era diventato di loro proprietà. Per lo più, la coltivazione (ancora gli studi sono molto dubbiosi per la penuria di materiale rinvenuto) era approssimativa e i mezzi di coltivazione erano ancora molto retrogradi. Tant'è, che non bisogna scordare il fatto che non vi era uno sfruttamento intensivo del terreno, né dei mezzi di produzione. Questo perchè non vi era ancora una concezione moderna di efficienza ed efficiacia. Per lo più si coltivavano legumi (la famosa "carne dei poveri" ricca di proteine) e grano, anche se quest'ultimo era molto soggetto a forti carestie (il grano da coltivare era molto difficile perchè richiede temperature con un range molto basso di variazione). Nelle regioni del nord Europa, si diffusero con l'arrivo dei barbari anche culture come l'orzo (indispensabile per la birra). Ma anche tutti gli altri grani (Farro, Segala, Miglio) venivano coltivati, in modo tale da avere lo stesso un pane da mangiare, anche se meno pregiato e sostanzioso.
@ GAMESTER:
non pagavano affatto un fitto per il terreno! ma erano appunto servi della gleba (schiavi della terra) perchè appunto non venivano pagati ma come "ricompensa" dovevano coltivare un terreno (visione Marxista dell'800 che voleva screditare questo sistema). Questo perchè con la caduta dell'Impero romano, il sistema monetario crollò e non vi furono più monete in circolazione. Era raro trovare monete, e così si iniziò a trovare utile il baratto o uno scambio di "regali".
La "decima" era obbligatoria se non si avevano altre terre comuni da coltivare. Ed era una piccolissima tassa (ovvero la decima parte del raccolto).
La servitù della gleba, molto diffusa del medioevo (già colonato al tempo dei Romani), era una figura giuridica che legava i contadini ad un determinato terreno (gleba, in latino, è propriamente la "zolla" di terra). I servi della gleba coltivavano i fondi che appartenevano ai proprietari terrieri, pagando un fitto. Inoltre dovevano pagare le decime (qualora il proprietario facesse parte del clero o fosse un ente ecclesiastico) ed erano obbligati a determinate prestazioni di lavoro (corvées). I servi della gleba erano tali per nascita, e non potevano (lecitamente) sottrarsi a tale condizione senza il consenso del padrone del terreno. Nel Medioevo, in occasione dei lavori per dissodare nuove terre, spesso il proprietario dava a chi si sobbarcava l'onere di trasferirsi nelle nuove aree particolari libertà (franchigie) e privilegi: da cui il nome "Villafranca" dato a tante località.
I servizi a cui i servi della gleba erano obbligati, va precisato, a differenza della schiavitù, non avevano un carattere generico, ma erano precisamente definiti. Inoltre i servi della gleba, diversamente dagli schiavi, non venivano considerati "cose" ma persone, avevano il diritto alla proprietà privata, sebbene limitata ai beni mobili, potevano sposarsi, avere figli ai quali lasciare un'eredità. Il feudatario non aveva diritto sulla vita del servo della gleba che però poteva essere venduto insieme alla terra, su cui aveva il diritto-dovere di restare. Intaccare questo principio fu una delle forme per sgretolare la servitù della gleba.[1] Perciò non poteva neanche esserne cacciato. Dai doveri rurali, in molte zone d'Europa, ci si poteva sottrarre anche col trasferimento in città: in Germania c'era il detto"Stadtluft macht frei" ("L'aria della città rende liberi").[2]
La servitù della gleba va intesa anzitutto come un obbligo reciproco. Il signore garantiva ai servi della gleba tutela giuridica e militare. Per tutela giuridica si intende che il signore doveva assicurare l'assistenza legale in caso di liti verso terzi. In cambio il servo della gleba versava al signore diversi tributi, in denaro, beni o servizi. Per esempio, nella Germania sud-occidentale, ogni anno, in segno di riconoscimento dello stato di servitù, doveva essere fornita al signore una gallina, e in caso di morte di un capofamiglia servo della gleba il miglior capo di bestiame (qualora morisse una donna, l'abito migliore). I servi della gleba erano soggetti al banno. Erano definiti bannalità: il turno di guardia, il trasporto di materiali, l'alloggiamento dei guerrieri e quello del signore, la trasmissione di messaggi.
Nel corso dei sec. XV e XVI questi obblighi vennero via via trasformati in tributi in denaro. Nell'area tedesca sud-occidentale il tasso si aggirava generalmente attorno al 1,5% del patrimonio. Ma esistevano anche zone in cui, fino agli inizi del sec. XIX, erano ammessi pagamenti in natura o in prestazioni equivalenti. I signori potevano vendere, acquistare e scambiare servi della gleba. Ciò però non significava altro che le prestazioni venivano rivolte ad un nuovo signore, perché, generalmente, il servo della gleba continuava a coltivare il vecchio fondo. Questo “cambio di proprietà” era rilevante, per il servo, solamente tramite eventuali divieti di matrimonio. Infatti il servo della gleba sottostava alla giurisdizione del proprio signore, il quale decideva anche se egli potesse contrarre matrimonio, e solo con autorizzazione da parte del signore era concesso al servo di lasciare il fondo. Chi tentava di allontanarsi veniva ricercato e riportato indietro con la forza. Solamente quando ad un servo riusciva di raggiungere il territorio di una città, e di ottenere colà un diritto di residenza poteva sottrarsi alla giurisdizione del proprietario fondiario. Da questo contesto nasce il detto “l'aria della città rende liberi”. Inversamente, un servo della gleba non poteva essere allontanato dal fondo che coltivava, nemmeno con la forza. Va però precisato che la cosiddetta "servitù della gleba" medievale, a partire dal XII è il prodotto - in Italia in forma prevalentemente contrattuale - della rinascita degli studi del diritto giustinianeo, come fin dal 1925 chiarì Marc Bloch, il quale correttamente attribuì la locuzione "servus glebae" al giurista bolognese Irnerio (fine XI-inizio XII secolo).
La figura si è sviluppata sotto Diocleziano dai contadini romani, conosciuti con il nome di coloni, o "affittuarii". Il sostantivo colonus deriva dal verbo colere (coltivare).
Diocleziano, al fine di fermare la fuga dalle campagne verso le città, con un provvedimento autoritativo aveva imposto ai coloni di trasmettere il proprio mestiere ai loro discendenti; li aveva inoltre fissati (anche per le generazioni successive) al terreno che coltivavano, al punto da essere venduti assieme ad esso (passando così al servizio del nuovo proprietario del fondo). Il proprietario del fondo aveva il diritto di reclamare i coloni al suo servizio qualora si allontanasser