Dante voleva un pontefice disposto a collaborare, alla pari, con l'imperatore: quale delusione dovette subire quando vide che dopo Celestino salì al soglio Bonifacio VIII, la quintessenza del conservatorismo! Proprio Bonifacio VIII sarà causa del suo esilio da Firenze e, a suo giudizio, causa ultima della rovina della stessa città. Dante non seppe mai valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V, va però detto che Dante non nomina mai il pontefice, pur essendo l'unico ch'egli riconosca nel girone degli ignavi. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, pur dovendolo condannare, come politico, alle pene eterne dell'inferno, come uomo invece non se la sente d'infierire su un personaggio la cui unica colpa fu la debolezza di non saper regnare. Ecco perché lo riconosce soltanto, senza incontrarlo. Dante non può mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosce neppure il titolo di "avversario politico".
Perchè il suo successore è stato Bonifacio VIII, il quale è stato nemico di Dante, e che lo ha poi condannato in esilio. Quindi se Celestino V non avesse rifiutato, le peripezie di tante con Bonifacio non avrebbero preso luogo, e quindi in un certo senso Dante da la colpa al papa che fece il gran rifiuto, e usa la morale della chiesa cattolica come giustifica piuttosto che i suoi interessi e pareri personali.
Dante cita anche misteriosamente, fra le schiere degli ignavi, l'anima di un personaggio che, in vita, "fece per viltade il gran rifiuto". Gran parte degli studiosi suoi contemporanei identifica questo personaggio con Papa Celestino V (Pietro da Morrone), che giunto al Soglio Pontificio nel 1294 dopo una vita di eremitaggio, rinunciò dopo pochi mesi alla sua carica, consentendo quindi l'ascesa al potere di Bonifacio VIII, pontefice che Dante fermamente disprezzava. Già dal secolo successivo, questa interpretazione ebbe minor considerazione presso i critici, e da allora l'identità dell'anima di colui che fece "il gran rifiuto" ha generato un non indifferente problema interpretativo. Sono molte le altre interpretazioni possibili, infatti, circa l'identità di questa anima: ivi compresa la possibilità di identificarla con l'anima di Ponzio Pilato, il prefetto romano che secondo i Vangeli rifiutò di giudicare Cristo nei momenti successivi la sua cattura, o con Esaù, che rifiutò la sua primogenitura barattandola con un piatto di lenticchie. Secondo alcuni è poco probabile che sia uno di questi ultimi perché Dante, comunque, non poteva riconoscerli senza indicazioni, non avendoli mai visti.
be perchè gli ingavi sono coloro che non prendono mai una decisione e si lasciano travolgere dagli eventi passivamente...dante vedeva la scelta di celestino V come "io me ne lavo le mani...vedetela voi"
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Dante voleva un pontefice disposto a collaborare, alla pari, con l'imperatore: quale delusione dovette subire quando vide che dopo Celestino salì al soglio Bonifacio VIII, la quintessenza del conservatorismo! Proprio Bonifacio VIII sarà causa del suo esilio da Firenze e, a suo giudizio, causa ultima della rovina della stessa città. Dante non seppe mai valorizzare, sul piano umano e politico, il rifiuto di Celestino V, va però detto che Dante non nomina mai il pontefice, pur essendo l'unico ch'egli riconosca nel girone degli ignavi. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che, pur dovendolo condannare, come politico, alle pene eterne dell'inferno, come uomo invece non se la sente d'infierire su un personaggio la cui unica colpa fu la debolezza di non saper regnare. Ecco perché lo riconosce soltanto, senza incontrarlo. Dante non può mettersi a parlare sul piano umano con una persona cui non riconosce neppure il titolo di "avversario politico".
Perchè il suo successore è stato Bonifacio VIII, il quale è stato nemico di Dante, e che lo ha poi condannato in esilio. Quindi se Celestino V non avesse rifiutato, le peripezie di tante con Bonifacio non avrebbero preso luogo, e quindi in un certo senso Dante da la colpa al papa che fece il gran rifiuto, e usa la morale della chiesa cattolica come giustifica piuttosto che i suoi interessi e pareri personali.
Dante cita anche misteriosamente, fra le schiere degli ignavi, l'anima di un personaggio che, in vita, "fece per viltade il gran rifiuto". Gran parte degli studiosi suoi contemporanei identifica questo personaggio con Papa Celestino V (Pietro da Morrone), che giunto al Soglio Pontificio nel 1294 dopo una vita di eremitaggio, rinunciò dopo pochi mesi alla sua carica, consentendo quindi l'ascesa al potere di Bonifacio VIII, pontefice che Dante fermamente disprezzava. Già dal secolo successivo, questa interpretazione ebbe minor considerazione presso i critici, e da allora l'identità dell'anima di colui che fece "il gran rifiuto" ha generato un non indifferente problema interpretativo. Sono molte le altre interpretazioni possibili, infatti, circa l'identità di questa anima: ivi compresa la possibilità di identificarla con l'anima di Ponzio Pilato, il prefetto romano che secondo i Vangeli rifiutò di giudicare Cristo nei momenti successivi la sua cattura, o con Esaù, che rifiutò la sua primogenitura barattandola con un piatto di lenticchie. Secondo alcuni è poco probabile che sia uno di questi ultimi perché Dante, comunque, non poteva riconoscerli senza indicazioni, non avendoli mai visti.
be perchè gli ingavi sono coloro che non prendono mai una decisione e si lasciano travolgere dagli eventi passivamente...dante vedeva la scelta di celestino V come "io me ne lavo le mani...vedetela voi"
perchè è venuto meno a delle responsabilità che quell'incarico necessariamente comportava!