ieci anni dopo Menzogna e sortilegio, nel 1957, in epoca di neorealismo trionfante, rinasce ne L'Isola di Arturo il «realismo magico», rivelatore e illusorio, di Elsa Morante. L'eccentrica e ambigua scrittura della Morante, aderendo, seppure non meccanicamente, alla letteratura neorealistica del dopoguerra, racconta cose reali, non fiabe. L'isola di Procida, il mare, le case, le botteghe del porto, la «Casa dei guaglioni», il penitenziario e tutti i personaggi di questo romanzo sono pertanto oggettivamente e minuziosamente descritti e rappresentati. Ma tutto al tempo stesso sfuma nella favola e nell'allegoria: tutto è poeticamente trasfigurato.
La nostalgica e ironica fantasia di Arturo, la voce narrante in cui la Morante si identifica, non «saprà mai concepire» la ristrettezza della morte; quindi lascia che, a «confronto di questa infima misura», diventino «signorie sconfinate non dico l'esistenza di un misero prigioniero dentro una cella, ma perfino quella di un riccio attaccato allo scoglio, perfino quella di una tignola!». E così, al ritmo di una musica sinfonica, trasformando l'umile, storica e quotidiana realtà nel mondo atemporale e magico del mito, Arturo, il fanciullo-eroe dal nome di stella, rievoca la propria infanzia e la propria adolescenza.
In modo del tutto singolare rispetto alla letteratura memorialistica della prima metà del Novecento, la mitica iniziazione di Arturo alla vita non viene tanto raccontata, quanto piuttosto, con precisione spassionata, indagata e illustrata, al fine di esemplificare le tappe fondamentali di quel difficile percorso che conduce dalla «malefica e meravigliosa» isola dell'infanzia alla coscienza di sé e al mistero della vita adulta.
er il ragazzo Arturo, la madre, mai conosciuta, è un ritratto su cartolina: «Figurina stinta, mediocre, e quasi larvale; ma adorazione fantastica di tutta la mia fanciullezza». Quando su quell’isola di sabbia calda, di silenzi, di lunghe estati arriva Nunziata, la giovanissima moglie del padre, Arturo è turbato e la sente estranea e nemica: madre-matrigna che tiene il fuoco acceso d’inverno e ti fa trovare sempre un pasto caldo sulla tavola; giovane donna primitiva e sottomessa che re Artù prima respinge e poi, passo dopo passo, avvicina, fino a travolgerla con un bacio. «Mi pareva che non si potesse mai conoscere la vera felicità dei baci, se erano mancati i primi, i più graziosi, celesti: della madre. E allora, per trovare un poco di consolazione e di riposo, mi fingevo nella mente la scena di una madre che baciava un figlio con affetto quasi divino. E quel figlio ero io». Dov’è finita la «virilità guagliona» del giovane Arturo? Si è perduta in un bacio appassionato e fatale su labbra belle dal «sapore freddo, marzolino»? Nunziatella regina delle donne, sogno d’amore corporale e spirituale, madre e amante: per cui vivere e cantare con tutta la voce che si ha in petto. Madre-amante, poi, da abbandonare, come ogni madre e come un’amante, insieme all’isola della giovinezza. (P.D.P.)
Tuttavia, l'arte menzognera del romanziere Elsa Morante quanto più manifesta e lascia trasparire, tanto più vanifica e nasconde nel potere suggestivo delle immagini e dei simboli. Così, per il fanciullo-eroe Arturo-Boote, diventare adulto equivale ad abbandonare Procida: la solare felice isola dell'infanzia, l'isola delle certezze assolute, lo spazio chiuso e senza tempo, su cui vaga «sospesa nell'aria» l'arcana divinità della madre perduta.
E lo svelamento della realtà e della vita ha fatalmente inizio con l'arrivo a Procida della giovanissima sposa del padre, Nunziatina, figura di madre-amante-bambina, definita dalla critica «una delle immagini più vive e sorprendenti del nostro romanzo contemporaneo».
Varcate, infine, tutte le frontiere, oltrepassate le Colonne d'Ercole, dissolte tutte le certezze, Arturo Gerace lascia il mondo del mito ed entra nel mondo della storia con l'acquisita consapevolezza che «Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto».
Facendo sentire «i sospiri infantili eternamente, come quelli dell'universo», tutto il romanzo è scritto conoscendo e, al tempo stesso, ignorando questa medesima certezza: «fuori del limbo non v'è eliso». (D.M.)
aruto un giovaneee artuto sull'isolaa di arturooooo mori x kausa di un uccello . skusa na kosa tu ti sei letta il libo nessuno te la keisto e vorresti ke te lo facciamo noi??? ehm......... NO
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ieci anni dopo Menzogna e sortilegio, nel 1957, in epoca di neorealismo trionfante, rinasce ne L'Isola di Arturo il «realismo magico», rivelatore e illusorio, di Elsa Morante. L'eccentrica e ambigua scrittura della Morante, aderendo, seppure non meccanicamente, alla letteratura neorealistica del dopoguerra, racconta cose reali, non fiabe. L'isola di Procida, il mare, le case, le botteghe del porto, la «Casa dei guaglioni», il penitenziario e tutti i personaggi di questo romanzo sono pertanto oggettivamente e minuziosamente descritti e rappresentati. Ma tutto al tempo stesso sfuma nella favola e nell'allegoria: tutto è poeticamente trasfigurato.
La nostalgica e ironica fantasia di Arturo, la voce narrante in cui la Morante si identifica, non «saprà mai concepire» la ristrettezza della morte; quindi lascia che, a «confronto di questa infima misura», diventino «signorie sconfinate non dico l'esistenza di un misero prigioniero dentro una cella, ma perfino quella di un riccio attaccato allo scoglio, perfino quella di una tignola!». E così, al ritmo di una musica sinfonica, trasformando l'umile, storica e quotidiana realtà nel mondo atemporale e magico del mito, Arturo, il fanciullo-eroe dal nome di stella, rievoca la propria infanzia e la propria adolescenza.
In modo del tutto singolare rispetto alla letteratura memorialistica della prima metà del Novecento, la mitica iniziazione di Arturo alla vita non viene tanto raccontata, quanto piuttosto, con precisione spassionata, indagata e illustrata, al fine di esemplificare le tappe fondamentali di quel difficile percorso che conduce dalla «malefica e meravigliosa» isola dell'infanzia alla coscienza di sé e al mistero della vita adulta.
er il ragazzo Arturo, la madre, mai conosciuta, è un ritratto su cartolina: «Figurina stinta, mediocre, e quasi larvale; ma adorazione fantastica di tutta la mia fanciullezza». Quando su quell’isola di sabbia calda, di silenzi, di lunghe estati arriva Nunziata, la giovanissima moglie del padre, Arturo è turbato e la sente estranea e nemica: madre-matrigna che tiene il fuoco acceso d’inverno e ti fa trovare sempre un pasto caldo sulla tavola; giovane donna primitiva e sottomessa che re Artù prima respinge e poi, passo dopo passo, avvicina, fino a travolgerla con un bacio. «Mi pareva che non si potesse mai conoscere la vera felicità dei baci, se erano mancati i primi, i più graziosi, celesti: della madre. E allora, per trovare un poco di consolazione e di riposo, mi fingevo nella mente la scena di una madre che baciava un figlio con affetto quasi divino. E quel figlio ero io». Dov’è finita la «virilità guagliona» del giovane Arturo? Si è perduta in un bacio appassionato e fatale su labbra belle dal «sapore freddo, marzolino»? Nunziatella regina delle donne, sogno d’amore corporale e spirituale, madre e amante: per cui vivere e cantare con tutta la voce che si ha in petto. Madre-amante, poi, da abbandonare, come ogni madre e come un’amante, insieme all’isola della giovinezza. (P.D.P.)
Tuttavia, l'arte menzognera del romanziere Elsa Morante quanto più manifesta e lascia trasparire, tanto più vanifica e nasconde nel potere suggestivo delle immagini e dei simboli. Così, per il fanciullo-eroe Arturo-Boote, diventare adulto equivale ad abbandonare Procida: la solare felice isola dell'infanzia, l'isola delle certezze assolute, lo spazio chiuso e senza tempo, su cui vaga «sospesa nell'aria» l'arcana divinità della madre perduta.
E lo svelamento della realtà e della vita ha fatalmente inizio con l'arrivo a Procida della giovanissima sposa del padre, Nunziatina, figura di madre-amante-bambina, definita dalla critica «una delle immagini più vive e sorprendenti del nostro romanzo contemporaneo».
Varcate, infine, tutte le frontiere, oltrepassate le Colonne d'Ercole, dissolte tutte le certezze, Arturo Gerace lascia il mondo del mito ed entra nel mondo della storia con l'acquisita consapevolezza che «Quella, che tu credevi un piccolo punto della terra, fu tutto».
Facendo sentire «i sospiri infantili eternamente, come quelli dell'universo», tutto il romanzo è scritto conoscendo e, al tempo stesso, ignorando questa medesima certezza: «fuori del limbo non v'è eliso». (D.M.)
aruto un giovaneee artuto sull'isolaa di arturooooo mori x kausa di un uccello . skusa na kosa tu ti sei letta il libo nessuno te la keisto e vorresti ke te lo facciamo noi??? ehm......... NO