Sì: il pronome atono "ne" (personale, "di lui, di lei, loro" oppure dimostrativo, "di questo/a/i/e") si "appoggia (gr. ÎºÎ»Î¯Î½Ï mi piego, mi fletto)" alla parola precedente, formando con questa un'unica entità fonetica e grafica.
In italiano abbiamo di fatto solo enclitiche, tanto che, a proposito del comportamento dei pronomi atoni, ci limitiamo a chiamare questi ultimi "clitici". In latino e in greco esistono anche le proclitiche, cioè monosillabi o bisallibi atoni che si appoggiano alla parola successiva.
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Sì, è così:)
Sì: il pronome atono "ne" (personale, "di lui, di lei, loro" oppure dimostrativo, "di questo/a/i/e") si "appoggia (gr. ÎºÎ»Î¯Î½Ï mi piego, mi fletto)" alla parola precedente, formando con questa un'unica entità fonetica e grafica.
In italiano abbiamo di fatto solo enclitiche, tanto che, a proposito del comportamento dei pronomi atoni, ci limitiamo a chiamare questi ultimi "clitici". In latino e in greco esistono anche le proclitiche, cioè monosillabi o bisallibi atoni che si appoggiano alla parola successiva.
In realtà , in italiano dovrebbero essere considerate proclitiche le parole atone che formano un'unità fonetica (non grafica, anche se, a lungo termine, la proclisi è spesso all'origine di femoneni di univerbazione, come in "appieno" per esempio) con la parola successiva: i pronomi atoni in posizione debole (es.: "mi vedi" pronuncia /mivédi/, "a letto" pronuncia /allètto/) devono necessariamente legarsi alla parola seguente, spesso con raddoppiamento fonosintattico ("a presto" pronuncia /aPPrèsto/), e possono dunque essere definiti proclitici.