Il romanzo si svolge nell’Italia settentrionale, durante la seconda guerra mondiale. In particolare durante quei terribili,
lunghissimi mesi che vanno dall’armistizio dell’8 settembre alla liberazione del 25 aprile, e che hanno visto l’Italia del nord nelle mani dei nazifascismi, inferociti per la brutta piega che ha preso la loro guerra.A farne le spese è la popolazione civile, vittima sia dei rastrellamenti e delle rappresaglie di tedeschi e camicie nere, che dei bombardamenti “alleati”.Poi c’è la resistenza, i partigiani che come fantasmi si muovono tra i civili, senza dare nell’occhio; agiscono con la classica tecnica della guerriglia: individuano un bersaglio, colpiscono cercando di fare il maggior danno possibile (o il maggior bottino), spariscono nel nulla.L’atmosfera, l’ambiente, la tecnica di combattimento, le reazioni dei civili, tutto è narrato magistralmente da una scrittrice che ha vissuto in prima persona la resistenza, essendo stata un’attivista insieme al marito.Su tutto questo però campeggia una figura, quella dell’Agnese. E’ attraverso i suoi occhi che il lettore vede, sente, soffre e si commuove.All’inizio del romanzo, Agnese è una semplice lavandaia che non si occupa di politica; il suo mestiere dà da vivere a lei e a suo marito Palita, reso debole e inabile al lavoro da una malattia avuta in gioventù. Sta in casa, Palita, e lavora intrecciando ceste di vimini in compagnia della sua gatta nera. Debole solo nel corpo, ma forte nello spirito e di animo passionale, Palita è un comunista, in contatto con i partigiani.Forse viene scoperto, o forse i vicini denunciano ai tedeschi che la famiglia ha ospitato, la notte precedente, un soldato italiano disertore. Palita viene portato via da una camionetta tedesca ed inviato in Germania, assieme ad altri del paese sospettati di attività eversive. Qualche giorno dopo un amico del marito, riuscito a fuggire dal treno tedesco, racconta all’Agnese che Palita è morto; ma lei lo sapeva già, in cuor suo.Il medico l’aveva detto: riguardandosi, sarebbe vissuto fino a novant’anni. Ma doveva fare attenzione, ricevere tutte le cure.Ad Agnese non rimane più nulla: solo la gatta che il marito le ha affidato, ed un odio enorme per i tedeschi; un odio silenzioso, inespresso, ma potentissimo. A questo punto si presentano alla sua porta degli amici del marito: sono partigiani, le chiedono aiuto. Lei comincia a consegnare del materiale da un paese all’altro, diventa una “staffetta” della resistenza. La famiglia che le vive accanto, e che sospetta di aver denunciato il marito, ospita dei soldati tedeschi che amoreggiano con le due figlie. Uno di loro un giorno ammazza la gatta nera, quella che il marito, dal camion tedesco, aveva affidato all’Agnese; lei la raccoglie, piange, rimane inebetita una mezza giornata. Non è il dolore, o non solo, a tormentarla: è anche e soprattutto l’odio.Tornata a casa, trova il tedesco addormentato, mezzo ubriaco; gli strappa di mano il mitragliatore, non lo sa usare, glielo rompe in testa con tutta la sua forza.Poi corre ad avvertire i partigiani. Non le importa di aver ucciso un uomo, pensa solo ad avvertire il “comandante” che potrebbero esserci rastrellamenti, ripercussioni sui civili. Solo per questo si rammarica del suo gesto.E così che la casa dell’Agnese viene bruciata, la famiglia filotedesca massacrata, compresa una delle figlie incinta di un qualche loro soldato. Quanto all’Agnese, va a vivere con i partigiani, cucinando per loro, occupandosi delle provviste, facendo da mamma a tutti quei ragazzi. Essi cambiano spesso base: quando vengono scoperti, scappano. Qualcuno viene ucciso, qualcuno catturato. L’Agnese trova ospitalità presso una famiglia, ma la loro casa viene abbattuta da una bomba alleata. In seguito affitta una casa proprio accanto ad un comando tedesco, che non sospetta nulla. Il suo ruolo diventa di grande responsabilità: si occupa dei rifornimenti, coordina le staffette. I ragazzi la chiamano “mamma Agnese”, o “l’Agnese di Palita”,e la rispettano. La donna non bada al pericolo, dopo la morte del marito non ha più nulla da perdere; l’unica cosa di cui ha paura è di sbagliare, di fare qualcosa che possa risultare pericoloso per i suoi “ragazzi”.Due volte rischia di essere catturata, e due volte si salva in maniera fortuita. La terza volta viene rastrellata, per caso, in un paese dove non conosce nessuno; è sparito un camion militare, e finché non verrà ritrovato i tedeschi terranno in ostaggio quelle persone prese dalla strada: uomini, donne, bambini.Ad un certo punto cominciano a farli uscire, a liberarli. Il lettore, malgrado il titolo del libro la dica lunga, spera che la protagonista si salvi anche questa volta. Invece l’Agnese va incontro al suo destino, un destino con la faccia paonazza e l’accento tedesco, che imbraccia il fucile ed urla; l’Agnese distingue una sola parola: Kurt, il nome del tedesco che aveva assassinato dopo l’uccisione della gatta.
Answers & Comments
Verified answer
Il romanzo si svolge nell’Italia settentrionale, durante la seconda guerra mondiale. In particolare durante quei terribili,
lunghissimi mesi che vanno dall’armistizio dell’8 settembre alla liberazione del 25 aprile, e che hanno visto l’Italia del nord nelle mani dei nazifascismi, inferociti per la brutta piega che ha preso la loro guerra.A farne le spese è la popolazione civile, vittima sia dei rastrellamenti e delle rappresaglie di tedeschi e camicie nere, che dei bombardamenti “alleati”.Poi c’è la resistenza, i partigiani che come fantasmi si muovono tra i civili, senza dare nell’occhio; agiscono con la classica tecnica della guerriglia: individuano un bersaglio, colpiscono cercando di fare il maggior danno possibile (o il maggior bottino), spariscono nel nulla.L’atmosfera, l’ambiente, la tecnica di combattimento, le reazioni dei civili, tutto è narrato magistralmente da una scrittrice che ha vissuto in prima persona la resistenza, essendo stata un’attivista insieme al marito.Su tutto questo però campeggia una figura, quella dell’Agnese. E’ attraverso i suoi occhi che il lettore vede, sente, soffre e si commuove.All’inizio del romanzo, Agnese è una semplice lavandaia che non si occupa di politica; il suo mestiere dà da vivere a lei e a suo marito Palita, reso debole e inabile al lavoro da una malattia avuta in gioventù. Sta in casa, Palita, e lavora intrecciando ceste di vimini in compagnia della sua gatta nera. Debole solo nel corpo, ma forte nello spirito e di animo passionale, Palita è un comunista, in contatto con i partigiani.Forse viene scoperto, o forse i vicini denunciano ai tedeschi che la famiglia ha ospitato, la notte precedente, un soldato italiano disertore. Palita viene portato via da una camionetta tedesca ed inviato in Germania, assieme ad altri del paese sospettati di attività eversive. Qualche giorno dopo un amico del marito, riuscito a fuggire dal treno tedesco, racconta all’Agnese che Palita è morto; ma lei lo sapeva già, in cuor suo.Il medico l’aveva detto: riguardandosi, sarebbe vissuto fino a novant’anni. Ma doveva fare attenzione, ricevere tutte le cure.Ad Agnese non rimane più nulla: solo la gatta che il marito le ha affidato, ed un odio enorme per i tedeschi; un odio silenzioso, inespresso, ma potentissimo. A questo punto si presentano alla sua porta degli amici del marito: sono partigiani, le chiedono aiuto. Lei comincia a consegnare del materiale da un paese all’altro, diventa una “staffetta” della resistenza. La famiglia che le vive accanto, e che sospetta di aver denunciato il marito, ospita dei soldati tedeschi che amoreggiano con le due figlie. Uno di loro un giorno ammazza la gatta nera, quella che il marito, dal camion tedesco, aveva affidato all’Agnese; lei la raccoglie, piange, rimane inebetita una mezza giornata. Non è il dolore, o non solo, a tormentarla: è anche e soprattutto l’odio.Tornata a casa, trova il tedesco addormentato, mezzo ubriaco; gli strappa di mano il mitragliatore, non lo sa usare, glielo rompe in testa con tutta la sua forza.Poi corre ad avvertire i partigiani. Non le importa di aver ucciso un uomo, pensa solo ad avvertire il “comandante” che potrebbero esserci rastrellamenti, ripercussioni sui civili. Solo per questo si rammarica del suo gesto.E così che la casa dell’Agnese viene bruciata, la famiglia filotedesca massacrata, compresa una delle figlie incinta di un qualche loro soldato. Quanto all’Agnese, va a vivere con i partigiani, cucinando per loro, occupandosi delle provviste, facendo da mamma a tutti quei ragazzi. Essi cambiano spesso base: quando vengono scoperti, scappano. Qualcuno viene ucciso, qualcuno catturato. L’Agnese trova ospitalità presso una famiglia, ma la loro casa viene abbattuta da una bomba alleata. In seguito affitta una casa proprio accanto ad un comando tedesco, che non sospetta nulla. Il suo ruolo diventa di grande responsabilità: si occupa dei rifornimenti, coordina le staffette. I ragazzi la chiamano “mamma Agnese”, o “l’Agnese di Palita”,e la rispettano. La donna non bada al pericolo, dopo la morte del marito non ha più nulla da perdere; l’unica cosa di cui ha paura è di sbagliare, di fare qualcosa che possa risultare pericoloso per i suoi “ragazzi”.Due volte rischia di essere catturata, e due volte si salva in maniera fortuita. La terza volta viene rastrellata, per caso, in un paese dove non conosce nessuno; è sparito un camion militare, e finché non verrà ritrovato i tedeschi terranno in ostaggio quelle persone prese dalla strada: uomini, donne, bambini.Ad un certo punto cominciano a farli uscire, a liberarli. Il lettore, malgrado il titolo del libro la dica lunga, spera che la protagonista si salvi anche questa volta. Invece l’Agnese va incontro al suo destino, un destino con la faccia paonazza e l’accento tedesco, che imbraccia il fucile ed urla; l’Agnese distingue una sola parola: Kurt, il nome del tedesco che aveva assassinato dopo l’uccisione della gatta.
sxo di esserti stata d'aiuto...ciaoo!!!